Eventi Home » Curiosità » Eventi » Giornata della memoria: il ricordo di Perla Beatriz Almarante Giornata della memoria: il ricordo di Perla Beatriz Almarante Da Paola Maggioni Pubblicato 27 Gennaio 2021 9 min lettura Commenti disabilitati su Giornata della memoria: il ricordo di Perla Beatriz Almarante 1 32 Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi su Reddit Condividi su Pinterest Condividi su Linkedin Condividi su Tumblr Il 27 Gennaio del 1945 i soldati sovietici dell’Armata Rossa superarono il cancello del campo di sterminio di Auschwitz. Quel giorno finì ufficialmente il più grande omicidio di massa della storia avvenuto in un unico luogo. Il ricordo di Perla Beatriz Almarante Il Giorno della memoria cade ogni anno il 27 Gennaio. L’evento si celebra ogni anno in Italia e nel resto del mondo: ma cosa si intende per “memoria”? E perché, e soprattutto cosa è importante ricordare? Una giornata commemorativa – istituita in Italia nel 2000 ed in tutto il mondo nel 2005 – che non va considerata tanto come un omaggio alle vittime del nazismo, quanto un’occasione di riflessione su una storia che ci riguarda da molto vicino. Giornata della memoria: un’occasione di riflessione, il ricordo, una testimonianza Siamo saliti sul treno, non ci sono classi, siamo tutti insieme: io con la mia famiglia ed i miei fratelli e sorelle. Io sono la maggiore delle femmine e devo badare alle mie sorelline. Sono impaurite e spaesate, mio fratello bada ai miei fratelli anche loro incoscienti di ciò che ci circonda. “Ho freddo!” queste sono state le parole che mi ha detto la minore delle mie due sorelle. L’ho fatta venire vicino a me e l’ho coperta con il mio cappotto. Non avevo altro, le nostre valigie le hanno buttate via, avevo detto loro che dove ci avrebbero portate non sarebbero servite. Il viaggio è davvero molto lungo, il freddo sempre più fitto ed intenso. Molte persone non resistono a questo gelo. Per non spaventare i miei fratelli e sorelle, mia madre disse: “stanno dormendo, lasciateli stare”. “Ma mamma, stanno così da tempo”. Si tengono caldi, il freddo è davvero imponente”. Quella giovane coppia, non ha resistito al gelo così glaciale che ghiacciava anche il ferro della carrozza del treno. Dopo lunghi ed infiniti giorni il treno si fermò, i soldati tedeschi aprirono le porte e ci fecero scendere. Camminando per un po’, alzai lo sguardo e vidi un enorme cancello con una scritta: “ARBEIT MACHT FREI”. Non appena oltrepassammo la soglia del cancello di ferro, i soldati ci gridarono di separarci: io, mia madre e le mie sorelle venimmo divise da mio padre e dai miei fratelli. Anche altri come noi ebbero lo stesso trattamento: gli uomini avevano un loro dormitorio e noi il nostro. Ci portarono nel nostro dormitorio, avevamo preparato tutto ciò che sarebbe servito, ci dissero di cambiarci, avevamo un vestito a righe bianche e blu con sopra la stella di Davide. Io e mia madre aiutammo le mie sorelle ed infine ci vestimmo io e lei. I soldati ci richiamarono e una alla volta ci cominciarono a rasare i capelli: io li avevo lunghi e lisci, vedevo i miei capelli cadere sulle gambe, non osavo dire nulla, avevo tanta paura. Lo stesso toccó alla mia famiglia. “Chissà come staranno mio padre e i miei fratelli” . Questo pensavo, non pensavo altro; era difficile farlo quando vedevi che qualcuno della tua gente l’attimo prima era in piedi e il secondo dopo non lo era più. Molte compagne di stanze non tornavano più dopo che ci avevano timbrato come “animali da macello”. Le mie sorelle avevano sofferto tanto, avevano stretto forte nei loro denti il dolore e trattenuto le lacrime, scoppiate l’attimo dopo senza farsi vedere dai soldati. Eravamo marchiati tutti, per loro eravamo solo numeri dove a sorte veniva deciso il destino. Molte donne non riuscirono a resistere a quel calore ustionante e morivano sentendo la morte sulla loro pelle. Oggi un gruppo di donne sono state portate via, speravo che tornassero ma così non fu. Ci domandavamo dove fossero, cosa le fosse accaduto, ma a queste domande non sapevamo darci risposta. Ho fatto amicizie, ho conosciuto una bambina. Quest’ultima aveva una sorella. Entrami avevano visto morire la loro madre davanti i lori occhi. Quando mi raccontò quanto accaduto, ero con mia madre. Le mie sorelle dormivano, fu così che mia madre prese con sé le due sorelline orfane accudendole come se fossero sue figlie. Ero felice in quel momento: avevo altre due sorelle, mia madre era davvero una persona speciale. Ho trovato questi fogli e questa penna dove poter scrivere cosa vedo, come ci sentiamo, cosa viviamo e cosa succede in questo posto infernale. Ogni giorno viviamo la morte, quando apriamo gli occhi pensiamo “un’altro giorno da vivi” perché non sappiamo quanto possa durare. Ora è meglio andare a dormire, sto mettendo in pericolo la mia famiglia, non devo farmi vedere sveglia. Spero di poter scrivere ancora domani, di lasciare traccia di cosa ci accade quì, delle torture che subiamo e di cosa ci occupiamo. Noi non volevamo morire, ma vivendo quì da oramai tanti mesi, avrei voluto morire insieme alle mie sorelle ed a mia madre. Ma noi siamo forti, siamo resistenti e siamo ancora in piedi, preghiamo la libertà e la possibilità di vedere il cielo in tutto il suo splendore! Perla Beatriz Almarante