Telefono rosa, 30 anni contro la violenza

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Telefono rosa, 30 anni contro la violenza

Un patto tra donne. Per sostenersi ed opporsi alla violenza fisica, psicologica e morale perpetrata da uomini brutali nei confronti delle loro fidanzate, mogli e compagne. E’ quello stipulato trent’anni fa tra le fondatrici di Telefono Rosa e le vittime di maltrattamenti che si sono rivolte a loro in cerca di aiuto.

Un numero unico nazione, il 1522, creato nel 2006 dal Ministero per le Pari Opportunità e gestito da Telefono Rosa, da chiamare quando le umiliazioni e le botte non si sopportano più. E’ una rete di volontarie, avvocate e psicologhe, pronte a schierarsi al fianco di chi vittima non vuole più essere.

All’inizio, la violenza domestica non era in alcun modo documentata. All’epoca lo scopo dell’Associazione era raccogliere i dati e le cifre necessari a portare il problema all’attenzione di tutti. E’ stato subito un boom di chiamate da parte di donne che subivano soprusi. Numeri che sin dall’inizio si sono mostrati importanti e che continuano ad esserlo.

Secondo le ultime rivelazioni di Eures, infatti, nei primi dieci mesi del 2018 le donne uccise in Italia sono 114, una ogni due giorni e mezzo. Mentre dal 2000 ad oggi sono state oltre 3000 le vittime di femminicidio.

Numeri che fanno impressione soprattutto perchè ad essere in crescita sono gli atti violenti tra le “rassicuranti” pareti di casa: si è passati dal 26.3% degli omicidi del 2000 al 37.1% del 2016. Ma anche quando non si arriva a togliere la vita, le ferite inferte sono comunque profonde. Nel corpo e nell’anima.

Anche la violenza assistita è pericolosa

Anche la violenza assistita è pericolosa

Per fortuna che ora le donne denunciano di più, soprattutto se in famiglia ci sono dei minori, perchè hanno capito che anche la violenza assistita è pericolosa e lascia segni indelebili. Le psicologhe lavorano sia con le madri che con i bambini, spiegando loro cosa sia la parità ed il rispetto.

L’atteggiamento degli uomini verso le donne è prima di tutto una questione culturale e se non si cambia il modo di pensare fin da piccoli, se non si agisce per estirpare questa mala erba alla radice, non si riuscirà mai a spezzare il cerchio della violenza.

Un errore che si fa spesso è pensare che le vittime di violenza domestica siano tutte straniere o, al massimo, italiane appartenenti alle fasce più povere della società. Ma non è così.

Ci sono tante italiane che si rivolgono a centri antiviolenza. Donne i cui mariti sono ben integrati nel contesto lavorativo e sociale, non certo degli emarginati. Persone con un buon tenore di vita che comunque commettono soprusi nei confronti delle loro mogli.

Solitamente l’uomo violento alterna le brutalità a periodi in cui incarna alla perfezione il ruolo del Principe Azzurro. Inoltre isola gradualmente la propria compagna da tutti gli affetti, la controlla maniacalmente e ne distrugge a poco a poco l’autostima. Questi uomini sono bravissimi ad individuare le fragilità delle donne che dicono di amara e ad usarle contro di loro.

Mettere fine a tutto ciò si può: le vittime non sono sole!

Nei centri antiviolenza ci sono persone pronte ad ascoltare e ad offrire aiuto psicologico, materiale e, quando richiesto, anche legale. Molte donne arrivano terrorizzate e disperate ma a poco a poco si trasformano in persone solari e serene, in mamme positive e consapevoli.  Donne coraggiose che sono riuscite ad uscire per sempre da quel buco nero in cui le aveva relegate un orco travestito da Principe.

 

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