Lotta contro la violenza sulle donne Home » Lotta contro la violenza sulle donne » Violenza di “genere”: ricostruzione delle radici storiche e dati attuali Violenza di “genere”: ricostruzione delle radici storiche e dati attuali Da Rossana Nardacci Pubblicato 24 Novembre 2023 12 min lettura Commenti disabilitati su Violenza di “genere”: ricostruzione delle radici storiche e dati attuali 2 1,305 Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi su Reddit Condividi su Pinterest Condividi su Linkedin Condividi su Tumblr I diritti delle donne spesso vengono violati nonostante vi siano, sia a livello nazionale, sia internazionale, numerosi strumenti normativi che li ribadiscono. Negli ultimi decenni il problema della violenza contro le donne si è imposto all’attenzione della comunità internazionale. Nel passato la violenza contro le donne raramente era considerata da un punto di vista giuridico. Solo negli ultimi tempi si è parlato di “criminalizzazione di violenza contro le donne”. Si è riconosciuto, infatti, che gli atti di violenza perpetrati nei confronti delle donne, violano i loro diritti, limitano la loro partecipazione nella società ma soprattutto compromettono la salute psichica e fisica della donna. La violenza contro le donne è oggi “una delle più estese violazioni dei diritti umani” E’ endemica, universalmente presente in ogni Paese, in ogni società o area del globo, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, sia in tempo di pace che di guerra. Gli Stati, perciò, hanno il dovere di considerare e punire queste forme di violenza alla stregua di reati di fronte ai quali non è più possibile tacere e ignorare Generalmente queste forme di violenze vengono commesse all’interno della famiglia: dal padre, dal fratello, dal marito, dal suocero ma anche dai membri delle società in cui le donne vivono. Le donne e le ragazze sono vittime di prostituzione forzata, di schiavitù sessuale, di tratta, di mutilazioni genitali e di forme di violenza arcaica quale la “dowry death”. Le più giovani sono vittime di matrimoni forzati e costrette alla castità qualora il marito muoia. Le forme di violenze contro le donne sono anche legate alla riproduzione, nel caso di aborti, sterilizzazioni o gravidanze forzate. Quest’ultimo tipo di violenza avviene sistematicamente nei conflitti armati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stabilisce che la violenza contro le donne è un problema di salute pubblica di proporzioni enormi, oltre che una “gross violation” dei diritti umani che comporta gravi effetti sulla condizione fisica, mentale e riproduttiva della donna. Secondo l’OMS, il 35% di donne ha sperimentato almeno una volta nella vita violenza (sessuale, fisica e psichica) da parte del proprio partner, di un conoscente o di un genitore. Il 70% delle donne ha subìto violenza fisica o sessuale da parte del proprio compagno. Studi condotti in Australia, Canada, Israele e Stati Uniti hanno dimostrato che la violenza nei confronti delle donne in ambito familiare spesso comporta la morte della donna. Anche in Europa le vittime di violenza sessuale sono moltissime: si stima che tra il 40 ed il 50 % di donne ha subìto forme di violenza nel corso della loro vita. Nel mondo circa centoquaranta milioni di donne e bambine hanno patito mutilazioni genitali femminili. Venti milioni di donne sono costrette a lavori forzati, tra cui quattro milioni e mezzo sono vittime di prostituzione forzata. Le cifre rimangono molto alte anche per le donne che hanno contratto il virus dell’HIV/AIDS a seguito di stupri coniugali. Le bambine invece sono vittime di matrimoni precoci e forzati, che pongono bruscamente fine alla loro infanzia e compromettono il godimento dei loro diritti fondamentali. Si stima, infatti, che oltre sessantaquattro milioni di bambine sono costrette a sposarsi ogni anno. Uno studio condotto negli Stati Uniti ha calcolato che l’83% di ragazze, tra i dodici ed i sedici anni, ha subìto minacce sessuali nelle scuole pubbliche. Le donne di tutte le età sono le maggiori vittime di violenze durante i conflitti armati. Nella Repubblica Democratica del Congo sono stati registrati circa 1100 stupri al mese con una media di 36 donne violentate ogni giorno e sono circa duecentomila le donne che hanno subìto violenze sessuali da quando è cominciato il conflitto armato Durante il conflitto in Bosnia Erzegovina circa cinquantamila donne sono state stuprate. In Ruanda nel 1994 furono stuprate cinquecentomila donne. Purtroppo si tratta sempre di stime, in quanto vi è una mancanza rilevante di dati su tale fenomeno, poiché molte sono le donne che non denunciano per paura o per vergogna e molti sono ancora i paesi che non offrono statistiche complete. A testimoniare ciò, vi è il numero impressionante di donne “demograficamente scomparse” nel mondo, morte in un “silenzio assordante” mentre gli Stati di appartenenza non si preoccupano di cercare o punire i colpevoli. Le origini della violenza di genere ed in particolare della violenza sulle donne sono antichissime Si basano su miti e pregiudizi, su credenze e su tradizioni tramandate nel corso di secoli, le quali hanno costretto la donna in una condizione d’inferiorità sia sul piano sociale sia su quello giuridico e politico. Platone descriveva la donna come un essere inferiore all’uomo. Aristotele ne giustificava la sottomissione all’uomo sostenendo che “la donna è donna in virtù del fatto che le mancano determinate qualità”. Anche il Cristianesimo insegnava che la donna è subordinata all’uomo poiché non è autonoma. Per San Paolo “il capo della donna è l’uomo, la donna non può insegnare, né imporre la sua volontà, ma deve rimanere in silenzio”. Nel Codice di Hammurabi del 1700 a.C., si affermava che “la donna è proprietà del marito e la figlia nubile è di proprietà del padre” Lo stesso valeva per i codici Napoleonici del 1804[1], dove era prevista la certificazione maritale, in base alla quale la donna era di proprietà del marito. L’affermazione di Rousseau secondo cui l’uomo deve essere forte e la donna deve rimanere passiva e debole, confermava la cultura della subordinazione della donna all’uomo di quel tempo. Questi concetti d’inferiorità e subordinazione sono realtà ancora presenti nella nostra società e sono le principali cause della violenza contro le donne. La visione dell’uomo destinato a comandare, a possedere e a controllare la donna è radicata nella nostra cultura, in cui la violenza domestica è considerata un “fatto naturale”, normale, giustificabile e socialmente accettato[1]. La violenza di genere è, dunque, uno strumento di oppressione e di controllo che colpisce maggiormente le donne, poiché “i soprusi di cui sono vittime sono di natura sessuale e riproduttiva” Negli anni Settanta, le femministe, in Occidente, iniziarono a mobilitarsi attraverso delle campagne contro la violenza di genere, sia per quanto riguardava lo stupro, le aggressioni sessuali e gli omicidi sia per quanto riguardava la violenza domestica. Per la prima volta veniva messa in discussione la famiglia patriarcale, non si accettava più il ruolo di marito/padre padrone e la superiorità dell’uomo sulla donna, ma soprattutto non si accettavano più le continue violenze che le donne subivano. In seguito alle pressioni di questi movimenti, la comunità internazionale ha avvertito “il bisogno di differenziare la tutela dei diritti umani per genere, nonché di verificare l’effettivo godimento da parte delle donne di diritti fondamentali, quali il diritto all’integrità fisica e alla dignità personale”. S’iniziava, dunque, a introdurre il tema dei “diritti umani delle donne”.