Psicologia femminile Come la scrittura mi ha aiutato ad accettare un addio Da Paola Maggioni Pubblicato 10 minuti fa7 min lettura 0 4 Ci sono addii che non si superano. Ferite che, col tempo, smettono di sanguinare ma non di ricordare la forma esatta della lama. Li porti con te, impari a respirare nonostante il vuoto, a camminare nonostante il peso di un’assenza che si è fatta carne e ossa dentro il cuore. Continui a ripetere a te stessa quella frase di consolazione, “Ora non soffre più”, sperando che un giorno suoni non come un cliché, ma come una verità in cui rifugiarsi. Ma una parte di te resta per sempre lì, ferma, nel punto esatto in cui tutto è finito. Non si dimentica. Non si può. L’11 ottobre 2025 è una data incisa nel mio tempo personale. Quel giorno, il mondo ha smesso di vivere e respirare. Il suo cuore si è fermato e con lui si è fermato il mio. Ho perso un uomo, un amore, un faro. Per capire chi fosse per me, bisogna fare un viaggio indietro nel tempo. Aveva solo trentotto anni. Lui è stato il mio primo amore, il primo a insegnarmi cosa volesse dire non solo innamorarsi, ma crescere. Ridere fino a farci male. Imparare non dai libri, ma dalla vita. Con lui ho vissuto le prime esperienze che forgiano un adulto: le prime guide in macchina, l’ansia per l’esame della patente, le ripetizioni pomeridiane che finivano sempre in risate. I piccoli e grandi momenti che non si cancellano, perché diventano parte del tessuto stesso della tua anima. Ci conoscevamo da tredici anni. Un’era geologica. Quando lo conobbi, io avevo diciannove anni, lui venticinque. Eravamo due versioni acerbe di chi saremmo diventati. La vita ci ha portati per strade diverse. Ci siamo persi, ritrovati, ripersi e ritrovati ancora. Era un ballo complicato, dettato dal destino, come se un filo rosso e tenace ci legasse anche nelle assenze più lunghe. Non abbiamo mai smesso di volerci bene. L’affetto, il rispetto ed una paziente attesa erano la colla che, ogni volta, ci ricuciva. Da quando non c’è più, la scrittura è diventata il mio respiro, il mio modo di non spezzare quel filo. Scrivere di lui è un atto di resistenza contro l’oblio. È il mio modo di sentire che una parte di lui non è morta, ma vibra ancora tra le righe, nei ricordi che affiorano all’improvviso, profumati di lui. Mettere nero su bianco ciò che provo non è solo un gesto di dolore. È un dialogo. È come se, per un istante, riuscissi a sfiorare l’etere e parlargli ancora. A dirgli che non l’ho dimenticato, che ogni suo insegnamento cammina ancora con me, che la sua risata riecheggia nei miei giorni silenziosi. Di lui ho scritto anche nel mio libro, “Estetica fraintesa”. All’epoca erano solo pagine, un tributo inconsapevole. Oggi sono una reliquia. Rileggendole, sento ancora il timbro della sua voce, l’eco della sua risata. Quelle righe sono per me un porto sicuro, forse l’unico modo per sentirlo vicino. La scrittura, in fondo, è un ponte sospeso tra ciò che è stato e ciò che resta. Quando scrivo di lui, non sto solo ricordando: sto continuando a tenerlo in vita. La scrittura non cancella il dolore, non colma la mancanza. Semplicemente, lo trasforma. Lo prende per mano e gli dà una casa, perché non ti divori più da dentro. Scrivere diventa allora un modo per dare forma a ciò che il cuore non riesce a dire, per mettere ordine nel caos di emozioni che un addio lascia dietro di sé. Ogni parola è un mattone di questo ponte, un modo per dirgli: “Ci sei ancora”. Scrivere mi aiuta a riconciliarmi con una realtà che non avrei scelto. Mi ricorda che anche se la vita toglie, l’amore vero non muore mai: si trasforma, trova nuovi modi per esistere, si fa memoria attiva, presenza sottile. “Accettare” un addio non significa smettere di amare o voltare pagina. Significa imparare a ricordare senza annichilirsi. Significa trovare il coraggio di vivere, portando dentro di sé quel pezzo di vita condivisa non come una pietra tombale, ma come una stella che ancora guida i tuoi passi. E così, la scrittura diventa una carezza per l’anima. Un modo silenzioso e potente per sussurrare all’universo, e a lui: “Ci sei ancora. E ci resterai, per sempre.”