DonneHome » Donne » Carriera, potere e burnout: il prezzo nascosto che le donne pagano Carriera, potere e burnout: il prezzo nascosto che le donne pagano Da Maria Carola Leone Pubblicato 3 settimane fa6 min lettura 0 7 Ci hanno promesso di poter avere tutto: carriera, famiglia, amore, successo. Ma nessuno ci ha detto che questo “tutto” sarebbe stato un debito da pagare a rate, con interessi altissimi. La verità è che l’emancipazione femminile ci ha consegnato le chiavi del regno, ma ci ha lasciato fuori il manuale d’istruzioni per governarlo senza autodistruggerci. La doppia (tripla?) giornata lavorativa Mentre i dati Istat ci dicono che le donne italiane dedicano ancora 5 ore al giorno al lavoro domestico non retribuito (contro le 2 degli uomini), nelle aziende continuiamo a sentirci dire che “se vuoi fare carriera, devi essere flessibile”. Tradotto: disponibile a restare fino a tardi, a rispondere alle mail a mezzanotte, a viaggiare last minute. Il risultato? Una generazione di donne che lavora l’equivalente di due full-time – uno pagato, l’altro no. La trappola della perfezione Instagram ci mostra donne in carriera che alle 6 del mattino hanno già fatto yoga, preparato una colazione fotogenica e risposto a tutte le email. La realtà? Quella stessa donna probabilmente ha saltato la colazione, ha risposto alle mail in bagno e ha pianto in ascensore. Abbiamo interiorizzato l’idea che per essere considerate alla pari, dobbiamo essere il doppio più brave, il triplo più organizzate e dieci volte più resilienti. E quando crolliamo? La colpa è sempre nostra: “non sai organizzarti”. Il paradosso della leadership femminile Le ricerche mostrano un dato agghiacciante: quando le donne adottano stili di leadership “maschili” (decisi, autoritari) vengono percepite come “troppo aggressive”. Ma se usano approcci più collaborativi, vengono giudicate “poco leader”. È il classico doppio legame che porta a quel fenomeno chiamato “impression management” – lo sforzo continuo di calibrarsi su una misura impossibile. Forse è tempo di un femminismo della “qualità” invece che della “quantità”. Non più “quante donne sono in consiglio d’amministrazione”, ma “come stanno le donne che sono in consiglio d’amministrazione”. Perché una vera rivoluzione non misura il successo da quanti scalini abbiamo salito, ma da quanto abbiamo cambiato la scala. Soluzioni: oltre il “farsi avanti”, il diritto a scegliere Dopo anni in cui ci è stato detto di “lean in” (spingersi oltre, sacrificarsi per emergere), forse è tempo di rivalutare il “lean out” – il diritto a stabilire confini, a dire “basta”. Non si tratta di rinunciare alle ambizioni, ma di ridefinire le regole del gioco. Vediamo come: Fine della cultura del presentismo: basta riunioni serali. Gli orari flessibili non sono un privilegio, ma una necessità per chi gestisce una doppia (o tripla) giornata. Welfare che guarda alla realtà: non servono solo asili aziendali, ma politiche che riconoscano il carico mentale invisibile – quel lavoro di organizzazione e cura che ancora ricade soprattutto sulle donne. Leadership oltre gli stereotipi: sì alla competenza, ma senza dover imitare modelli maschili. Empatia, collaborazione e ascolto sono punti di forza, non debolezze. Libertà di essere imperfette: arrivare in ritardo perché si è portato un figlio a scuola, rifiutare un viaggio last minute, ammettere di essere stanche – tutto questo deve diventare normale, non una colpa. Voci che rompono il silenzio Le storie di chi ha osato cambiare le regole: “Ho bruciato la mia agenda da workaholic. Ora misuro il successo in serenità, non in ore straordinarie” (Maria, 38 anni, dirigente). “Ho smesso di correre. I clienti? Non sono scappati. La mia vita? Finalmente esiste” (Elena, 42 anni, imprenditrice). “Chiedere aiuto non è un fallimento. È l’unico modo per non crollare” (Sofia, 45 anni, avvocato). Un nuovo femminismo: dalla quantità alla qualità La vera parità non si misura con i numeri (“quante donne al top?”), ma con la libertà di scegliere come esserci. Perché l’uguaglianza non è adattarsi a un sistema malato – è riscriverlo. E tu, da che parte vuoi stare?