Addio a Giorgio Armani, il Re che ha rivoluzionato la moda italiana

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Il mondo della moda, dell’imprenditoria e della cultura italiana piange oggi una delle sue figure più iconiche e rivoluzionarie.

Giorgio Armani, lo stilista e imprenditore che ha costruito un impero globale partendo da una sola, geniale intuizione – la giacca destrutturata – si è spento all’età di 91 anni, lasciando un vuoto incolmabile non solo nell’olimpo dello stile, ma nell’immaginario collettivo di intere generazioni.

La notizia, che ha scosso il pianeta fashion e oltre, segna la fine di un’era. Armani non era semplicemente un designer; era un’istituzione, un simbolo di eleganza discreta, rigore estetico e genio imprenditoriale puro. La sua morte non chiude solo la vita di un uomo, ma il capitolo di un certo modo di intendere la moda: fatto di sostanza, perfezionismo e una visione unica, mai piegata alle logiche effimere del trend.

L’ uomo che vestì l’America

Per comprendere la portata della rivoluzione armaniana, bisogna tornare al 1980, anno dell’uscita di American Gigolò. Quel film non fu solo il trampolino di lancio per Richard Gere, ma l’atto di battesimo di uno stile che avrebbe dominato i decenni a venire. Le giacche morbide, slegate dalla rigidità sartoriale tradizionale, i pantaloni di lino, i toni neutri e terrosi della palette “greige” (un mix di grey e beige) divennero, da un giorno all’altro, l’uniforme del potere, del successo e di una nuova, più rilassata, mascolinità.

Hollywood se ne innamorò all’istante. Armani divenne il sarto non ufficiale delle star, da Michelle Pfeiffer a Glenn Close, da Jodie Foster a Tom Cruise.

Vestire Armani significava essere seri, senza essere noiosi; eleganti, senza essere ostentati; potenti, senza bisogno di alzare la voce. Era l’anti-ostentazione, il lusso che si riconosceva dalla caduta della stoffa, non dal logo urlato. Questo gli valse un’influenza sul red carpet e nella cultura popolare che pochi altri designer italiani hanno mai eguagliato.

L’ultimo grande Capitano d’Industria Indipendente

In un’epoca in cui il lusso è dominato da grandi conglomerati come LVMH e Kering, Giorgio Armani è sempre rimasto un faro di indipendenza.

La sua azienda, il Gruppo Armani, è rimasta saldamente sotto il suo controllo, una scelta coraggiosa e sempre più rara. Questo gli ha permesso di guidare la sua creatura con una visione a lunghissimo termine, immune dalle pressioni trimestrali dei mercati azionari.

Dagli occhiali ai profumi, dall’arredamento agli hotel (l’Armani Hotel di Dubai è l’emblema del suo lifestyle totale), ha costruito un universo coerente e riconoscibile.

Ha democratizzato il lusso senza banalizzarlo, creando una griglia di brand che andava dalla linea haute couture di Giorgio Armani Privé al più accessibile Emporio Armani, fino ad Armani Exchange per il grande pubblico.

Un modello di business studiato in tutte le business school del mondo: la capacità di parlare a diverse fasce di mercato mantenendo intatta l’integrità del DNA di stile.

Lo Stile Armani: meno è Più, ma meglio

La filosofia di Armani può essere riassunta in un concetto: il potere del sottointeso. Mentre altri celebravano gli eccessi degli anni ’80, lui proponeva un ritorno all’essenzialità. Le sue forme erano morbide, le spalle naturali, i colori ispirati alla terra e al cielo della sua amata Pantelleria, dove si rifugiava per trovare ispirazione.

Ha liberato il corpo, sia maschile che femminile, dalle armature della moda tradizionale.

Per le donne, ha creato tailleur potenti ma fluidi, l’abbigliamento da lavoro per una generazione di professioniste in ascesa che non volevano vestirsi come uomini.

Ha sdoganato l’abito maschile nella sua versione più informale e sensuale, introducendo il concetto di “nonchalance” elegante.

L’ eredità ed il futuro

La scomparsa di Armani solleva inevitabilmente la grande questione del futuro del suo impero.

Per anni, il tema della successione è stato un rompicapo. Armani, da perfetto padrone-patriarca, ha sempre gestito ogni aspetto in prima persona, circondato da un ristretto gruppo di collaboratori di fiducia, ma senza un erede designato al creative control.

Nel 2023, aveva costituito una fondazione, la Giorgio Armani Foundation, che diventerà l’azionista di riferimento del gruppo, garantendo la continuità e l’indipendenza dell’azienda secondo i suoi principi. Una mossa che ricorda quella di altri imprenditori visionari, volta a preservare il suo lascito oltre la sua vita terrena. Tuttavia, la transizione creativa rimane la sfida più grande.

Chi potrà incarnare e interpretare lo spirito Armani senza esserne una semplice copia?

Addio al Maestro

Giorgio Armani se ne va in un momento in cui la moda è esattamente l’opposto di ciò che lui rappresentava: dominata dal rumore, dalla viralità, dal prodotto che deve fare “hype” più che durare nel tempo. La sua eredità è un monito e un faro.

Ci ricorda che la vera eleganza è atemporale, che la qualità si sente e che il buon gusto è una forma di intelligenza.

Era l’ultimo di una generazione di giganti – insieme a Versace, Ferré, Valentino – che ha portato il Made in Italy sul tetto del mondo con la forza delle idee e la qualità del fare.

Non era uno stilista, era un architetto di sogni e di atteggiamenti. Ha vestito il nostro desiderio di essere autorevoli, sensuali e moderni, tutto allo stesso tempo.

Oggi Milano, l’Italia ed il mondo perdono un genio. Ma il suo stile, quel silenzio che parla più forte di mille parole, rimarrà per sempre.

Addio, Maestro. La tua eleganza era, e sempre sarà, una questione di carattere.

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