Moda sostenibile Home » Moda e Must Have » Moda sostenibile » Copenaghen Fashion Summit 2021: “Prosperità vs. crescita” Copenaghen Fashion Summit 2021: “Prosperità vs. crescita” Da Giovanna Palumbo Pubblicato 27 Ottobre 2021 8 min lettura Commenti disabilitati su Copenaghen Fashion Summit 2021: “Prosperità vs. crescita” 0 21 Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi su Reddit Condividi su Pinterest Condividi su Linkedin Condividi su Tumblr Nei giorni 7 ed 8 Ottobre scorsi si è tenuto in forma digitale il Copenaghen Fashion Summit. Un incontro annuale in cui le principali figure del settore si incontrano per discutere di sostenibilità, al fine di ridurre l’impatto che l’industria della moda ha sulla salute del nostro Pianeta. L’industria della moda, secondo un report del 2019 della Banca Mondiale, risulta essere la terza più inquinante, con il suo 10% di emissioni globali di CO2. Uno spiraglio di speranza lo leggiamo sul report dell’Ippc dell’Onu, della scorsa estate, secondo il quale è possibile mantenere l’aumento della temperatura della Terra entro 1,5 gradi, se si abbattono del tutto le emissioni entro il 2050. Se si vuole affrontare adeguatamente la crescita prevista della domanda globale di abbigliamento e calzature, bisogna adottare le misure necessarie per la tutela della nostra salute. “Prosperità vs. crescita”, il tema del Copenaghen Fashion Summit 2021 Nel corso del Summit i vari interlocutori si sono confrontati su come ridefinire la crescita e quindi il successo del settore, adottando strumenti e tecnologie atte a salvaguardare il nostro Pianeta. Nell’intervento di Jenna Johnson, responsabile di Patagonia Inc., c’è un chiaro invito alle aziende a produrre meno ma meglio in termini di qualità: “Se convinciamo le aziende a produrre di meno, queste saranno costrette ad acquistare materiali di migliore qualità e proporre prodotti più durevoli”. E’ su questa stessa linea anche Federica Marchionni, il nuovo CEO della Global Fashion Agenda: “La maggior parte della crescita del business è ancora basata sul fatto che più persone comprano più beni, ma questi attuali modelli di business sono insostenibili, mettendo a dura prova il nostro Pianeta e le persone”. Non sono mancati interventi sull’etica della produzione dei capi di abbigliamento, per una maggiore protezione dei lavoratori del settore. Basti pensare all’enorme quantità di ordini cancellati durante la Pandemia. “Quello di cui abbiamo bisogno e che stiamo iniziando a vedere, è una tendenza verso una legislazione intelligente”, ha commentato Ayesha Barenblat, CEO della non-profit Remake. Philippe Deniset della società di tecnologia della moda, Chargeurs PC, ha invece proposto un modello di produzione on-demand “Passando a modelli on-demand, i marchi e i rivenditori possono soddisfare la crescente domanda di personalizzazione dei consumatori, riducendo al contempo lo spreco di un inventario pesante”. Si è parlato anche di agricoltura rigenerativa per il cotone, la fibra naturale più usata ma anche una di quelle che consuma più acqua. Si è proposto di rendere disponibili fibre da riciclo, ricavate da fonti rinnovabili, come la cellulosa e di ridurre le fibre derivate dal petrolio, nonché seguire l’efficienza energetica di tutto il percorso di realizzazione di un capo. Come possiamo salvaguardare il nostro Pianeta? Interventi tutti interessanti e condivisibili, ma anche noi consumatori dobbiamo fare la nostra parte, cominciando col cambiare ottica sul modo di fare shopping, imparando a tenere il nostro guardaroba un po’ più vuoto ma con capi di migliore qualità. Comprare meno ma meglio, puntando sulla qualità. LEGGI ANCHE: Come salvare il Pianeta: taglia, cuci e ricicla Andrebbero anche presi in considerazione modelli di business diversi, tra cui la rivendita ed il noleggio. In questi ultimi tempi stanno nascendo sul web siti che consentono di mettere in vendita i propri capi non più utilizzati e questo è già un buon punto di partenza. Dovremmo imparare a pensare un po’ come le nostre nonne, le quali avevano pochi capi importanti, che venivano indossati solo in occasioni speciali. Inoltre le stesse regalavano gli abiti dei loro figli più grandi ai cuginetti più piccoli.. Il nostro contributo è veramente necessario, basti pensare che il 30 per cento dei capi prodotti non vengono mai venduti; limitando gli acquisti, l’industria della moda dovrebbe seriamente affrontare il problema della sovraproduzione. Per salvare il nostro Pianeta dovremmo anche prestare maggiore attenzione alle etichette dei capi che acquistiamo, in quanto quest’ultime rappresentano lo strumento che abbiamo noi consumatori per comprendere se l’azienda produttrice ha rispettato le varie normative in materia di sicurezza dei prodotti, provenienza delle fibre, ecc. Ma da soli non si può salvare il mondo; non ci resta che auspicare l’adozione di politiche antinquinamento anche da parte di quei paesi, come la Cina ad esempio, o l’India, in cui si concentra la maggior parte della produzione mondiale, con un impegno anche delle case di moda, che commissionano la produzione ad aziende di questi paesi, pretendendo la trasparenza su quali e quante sostanze chimiche pericolose siano state usate e rilasciate nell’ambiente.